
CREDERE NELL'UNIVERSITÀ È CREDERE NEL FUTURO
Le classifiche internazionali più recenti ci dicono che 53 atenei italiani su 66 hanno perso posizioni. Non si tratta solo di numeri: dietro quei dati ci sono giovani che faticano a trovare un futuro all’altezza dei loro studi e docenti che, nonostante un impegno quotidiano e spesso invisibile, lavorano in condizioni sempre più fragili.
Negli Stati Uniti si discute dei danni provocati dal blocco dei fondi federali alle università voluto da Trump. In Italia il problema è diverso, ma la sostanza è simile: la ricerca si indebolisce, i finanziamenti pubblici restano insufficienti, e chi potrebbe innovare, restare e far crescere il Paese sceglie di andarsene.
Siamo in un tempo in cui servirebbe esattamente il contrario: investire sull’Università, rafforzare il legame tra istruzione e giustizia sociale, creare opportunità dove oggi ci sono solo ostacoli. Perché un diritto non è tale se resta sulla carta e non si traduce in opportunità concreta per chi lo esercita.
L’Università è un bene comune. Non è solo il luogo in cui si formano competenze, ma è anche il presidio culturale di una democrazia viva. Ogni volta che ne riduciamo il ruolo, rinunciamo a qualcosa di essenziale. E allora forse la domanda è semplice: che Paese vogliamo diventare, se smettiamo di credere proprio nei luoghi che possono generare conoscenza, coesione e futuro?