
PAROLE COME LAME
“È necessario che gli italiani cessino di essere folla e ridiventino popolo.” (Luigi Einaudi)
In principio fu attaccato il buonismo. La comunicazione, soprattutto quella politica, per funzionare aveva bisogno della ‘bestia’. Oltre che come macchina organizzativa per la diffusione tambureggiante sui social network, anche come appetito da sfamare continuamente con argomenti delicati, fatti a bradelli con parole usate come lame, anche quando il tono era gentile: tagli fatti apposta per azzuffarsi, ricette facili per una soddisfazione immediata.
Così il popolo si è trasformato gradualmente in una folla, preda di emozioni contraddittorie e spesso fuorvianti, contravvenendo così all’auspicio di Luigi Einaudi che qui abbiamo richiamato in apertura. E insieme al popolo che si va facendo folla, la cultura del popolarismo, che per tradizione politica ha accolto tutte le migliori energie ricostruttive del secondo dopoguerra, al principio del nuovo millennio ha iniziato a sciogliersi nel pozzo del populismo. Con l’illusione, alimentata dalle nuove possibilità tecnologiche, di poter incidere interloquendo senza alcuna mediazione col leader del momento, unto unicamente dal riscontro della sua capacità incantatoria, quand’anche si trattasse di organizzare una semplice gita in montagna.
Ma non tutto è perduto. A patto di riscoprire il valore della parola che unisce invece di dividere, della politica come servizio invece che come sfogo, della partecipazione come impegno condiviso e non come tifoseria. A patto di ricominciare a costruire relazioni sane, dove il confronto dialettico non sia un’arma, ma un modo di costruire ponti e la fiducia non sia motivo di debolezza, ma fondamento del vivere comune. Tornare popolo, non folla, questo è il compito. Prima che la voce collettiva si perda nel rumore.
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