...ED IO AVRO’ CURA DI TE

...ED IO AVRO’ CURA DI TE

Nel solco sempre più esteso dell’indifferenza, c’è un punto su cui non si può più sorvolare, non può esserci una sanità a due velocità, con livelli essenziali di assistenza garantiti a “geografia variabile”. Una Repubblica che voglia davvero definirsi comunità ha il dovere di rimuovere gli ostacoli, non moltiplicarli lungo i confini regionali.

L’autonomia può essere una risorsa, ma solo se orientata al miglioramento dei servizi per tutti. Diventa invece un rischio, se si trasforma in pretesto per amplificare disuguaglianze o abbandonare i territori più fragili al destino dell’inefficienza.

Tra questi ostacoli, ce n’è uno che riguarda direttamente la vita quotidiana di milioni di cittadini: le liste d’attesa, che spesso rendono i diritti teorici un’esperienza differita, parziale, o del tutto negata. Il tempo, nella cura, è tutto. Rimandare significa compromettere, peggiorare, escludere.

E in alcune periferie urbane — come a Roma, nei quartieri dove la sanità pubblica fatica persino a farsi vedere — sono ormai fondazioni private e reti civiche a sostenere ambulatori popolari, cercando di coprire i buchi di un sistema in affanno. È un gesto generoso, ma anche il segno di un’emergenza strutturale, che non può essere lasciata al volontariato. 

Il sistema sanitario affronta una forte carenza di medici e infermieri, con il 27% dei medici italiani che ha più di 65 anni, la percentuale più alta in Europa. Il ricambio generazionale è insufficiente e il lavoro nel Servizio Sanitario Nazionale sta perdendo attrattività, sia dal punto di vista economico che sociale. La sostenibilità economica del sistema è minacciata dalla mancanza di risorse adeguate, con investimenti spesso insufficienti e una confusione sui diritti realmente esigibili dai cittadini.

Il servizio sanitario nazionale va inoltre ripensato in una logica strutturale nella quale il sociale e il sanitario non siano due mondi distanti e contrapposti. Nello spirito già indicato dalla legge 33/2023 su anziani non autosufficienti, quello che mira a garantire loro una vita dignitosa, offrendo assistenza integrata, personalizzata e vicina al domicilio, sostenendo sia la persona anziana che la loro famiglia e i caregiver.

L’uguaglianza non significa uniformità, ma garanzia che ogni persona, in ogni luogo, abbia le stesse possibilità di cura, protezione, accesso. Questo è il fondamento del nostro patto costituzionale: non un’Italia spezzata in compartimenti, ma unita nella responsabilità e nella solidarietà.

L’autonomia non separa. Se è vera. si realizza nella sussidiarietà, nella collaborazione, nella capacità di portare la cura dove il bisogno è più forte. Il diritto a una salute pubblica efficace ed efficiente non deve lasciare indietro nessuno.

Se davvero si vuole mantenere la sanità pubblica a un livello accettabile di efficienza, occorre invertire la rotta. In primo luogo, attraverso un piano straordinario di finanziamento del Ssn che possa rendere strutturali gli stanziamenti aggiuntivi disposti in concomitanza con la pandemia, che nei prossimi anni tenderanno a concludersi. 

E più in generale tornando ad investire con convinzione sulla sanità. Sul capitale umano, innanzitutto, attraverso concorsi straordinari per il personale medico e incentivi che possano rendere più attrattivo lavorare nel pubblico. Tutto questo per arginare anche il triste fenomeno del “turismo della salute”: ovvero quel milione di nostri connazionali che ogni anno viaggiano per curarsi fuori dalla regione in cui risiedono, alla ricerca di prestazioni mediche migliori. È una necessità, a meno che non ci si voglia rassegnare all’idea di una tutela della salute pubblica a due velocità, in cui anche le aspettative di vita e benessere dipendono per lo più dal luogo in cui si nasce e dalla possibilità (o meglio, fortuna) di potersi pagare le cure.

E mentre tutto questo accade, l’Italia si è astenuta dall’approvazione di un piano globale per la gestione delle pandemie in sede OMS, in nome della propria sovranità, rinunciando a collaborare alla salute pubblica globale. Proprio dopo aver vissuto sulla propria pelle le conseguenze di una pandemia senza confini. Pensare di essere sovranisti sulla salute in una fase storica in cui si parla di “Planetary Health” è discutibile, o meglio vuol dire non aver compreso a pieno lo stretto legame tra disuguaglianze, economia e salute. Battiato cantava “La Cura” come atto d’amore necessario. Forse è proprio da lì che bisogna ripartire. Bisogna rifuggire dalla cultura dello scarto, prima che la storia ci restituisca il dramma di chi, non potendo accedere alle cure, decida di sventolare bandiera bianca. 

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