Gazzetta del Sud. Intervista a Ernesto Maria Ruffini

Gazzetta del Sud. Intervista a Ernesto Maria Ruffini

L’ex direttore generale dell’Agenzia delle Entrate in politica con il suo simbolo “Più Uno” «Io federatore di un centro che guarda a sinistra? Guardiamo prima ai
problemi, non ai nomi». É tempo di grandi movimenti al centro della scena politica. Il campo dei moderati è un cantiere aperto, dove nessun partito al momento è in grado di esercitare una forte attrattravità. Lo spazio, insomma, per provare a costruire qualcosa di nuovo rispetto all'attuale offerta, c'è. E in tal senso non sta passando inosservato l'attivismo di Ernesto Maria Ruffini. Palermitano di nascita, figlio del politico Attilio, più volte ministro democristiano, e nipote del cardinale Ernesto, ha iniziato la carriera come avvocato nello studio di Augusto Fantozzi, per poi essere nominato amministratore delegato di Equitalia nel 2015, incoraggiandone la digitalizzazione. Dal 2017 al 2018 e nuovamente dal 2020 al 2024 ha guidato l’Agenzia delle Entrate, promuovendo strumenti come la fatturazione elettronica e lo “sportello virtuale” per snellire i rapporti con i contribuenti.

Ruffini, il simbolo di “Più Uno” depositato di recente da lei, rimanda chiaramente alla stagione dell’ulivo di Romano Prodi. Cosí si candida ad essere
il federatore di un’area centrista che guarda a sinistra?
«È un simbolo che rappresenta un desiderio: una nuova stagione di partecipazione e impegno per il bene del Paese. Con l’Ulivo era successo; dopo, molto meno.
Dobbiamo tornare ad avere la responsabilità del futuro. Si discute troppo di opposizione parlando di schemi politici, con parole ritenute importanti, ma che sono
comprensibili solo agli addetti ai lavori, ma non ai cittadini. Si parla troppo "di chi" e poco "di cosa e di come". Il centrodestra oscilla tra immobilismo e tentazioni di
autoritarismo. Le disuguaglianze lasciano fuori pezzi sempre maggiori del Paese. Abbiamo bisogno di altro».
La sua associazione ha lanciato i primi comitati in diverse città italiane. Quali obiettivi si pone?
«Sono nati comitati in tutte le regioni italiane con una partecipazione che è andata oltre le mie aspettative in oltre 150 città, e aumentano ogni giorno. Un risultato
enorme per un'associazione creata con alcuni amici di cui discutevamo di impegno politico da tempo. Girando l’Italia con il libro “Più Uno - La politica dell’uguaglianza”, ho avuto l’opportunità di trovare persone interessate a tornare a parlare di politica, senza preconcetti, per il bisogno di esserci. Questo è il primo obiettivo: esserci, mettersi in gioco per una stagione nuova. È necessario tornare a metterci la faccia, in prima persona. Gli elettori non credono più alla politica calata dall’alto, e non vogliono neanche che il loro voto venga dato per scontato. Bisogna ricominciare dall’ascolto, ascoltare i problemi del Paese e le attese delle persone.
Per far questo dovremmo uscire dalla comfort zone che ci ha abituato a parlare di politica sempre e solo con chi, in un modo o nell’altro, di politica si occupa.
Dobbiamo tornare a parlare con chi ha rinunciato ad affidare alla politica il compito di costruire un paese migliore. A tutti bisogna ricordare che il voto è ancora il potere più forte  che abbiamo contro quello che non ci piace. Non è solo un dovere».
Il suo è un progetto alternativo alla tenda riformista proposta da Matteo Renzi o intravede una possibilità di collaborazione con le forze dell’ex Terzo polo come
Italia Viva e Azione?
«Bisogna smetterla di usare schemi geometrici come il centro o formule astratte come tende, campi larghi e stretti o accampamenti vari tra i cespugli. Smetterla di attribuire etichette. E smetterla di parlare di nomi. La politica non è un reality show, ma dovrebbe essere il costante impegno ad affrontare le questioni di cui le famiglie
parlano a cena. Come è andato il lavoro? O hai trovato lavoro? Come stai, seiriuscito afare le analisi? Come è andato l’anno scolastico e come è stata la pagella? Che caldo torrido che fa! Le persone, anche senza accorgersene, si occupano continuamente di politica, di temi politici. Ed è per questo che si deve ripartire dai contenuti. Non c’è nessuno che ha già le soluzioni in tasca. Ed è per questo che bisogna ascoltare il Paese e riattivare la partecipazione per trovarle insieme. La domanda da porgere alle persone è semplice: “tu cosa ti aspetti, cosa vorresti dal tuo Paese?”».
Su quali proposte intende attrarre quell’elettorato moderato probabilmente “spaventato” dai toni duri della destra meloniana e dal radicalismo del Pd a
guida Schlein?
«Meglio abbandonare le categorie del passato. Non c’è un elettorato “moderato” e uno “estremista”. Ci sono le persone che vanno ascoltate, per capire quali sono le loro priorità. Prima di dare risposte bisogna fare domande e poi fare silenzio per ascoltare. È questo il limite dei partiti di adesso: hanno smesso di chiedere, si sono messi su un piedistallo da cui spiegano ai cittadini come vivere. Ma non sipuò fare così. Poi i temi sono tanti: lavoro, sanità, salari, opportunità di realizzarsi pienamente; proprio queii temi di cui parlano le persone ogni giorno. E tra questi, almeno per me, la scuola deve essere la assoluta priorità, partendo dal rafforzare la figura e la professione degli insegnanti».
Più volte lei ha ricordato che questo «è il tempo dei costruttori», riportando a galla un’espressione usata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno del 2020, quello della pandemia. Cosa sta a significare quest’espressione?
«L’Italia è ricca di energie positive e di persone pronte a ridare slancio alle potenzialità che abbiamo. A loro va affidata la costruzione del nostro presente per preparare il nostro futuro. Martin Luther King diceva: “Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla”».
Quali proposte avanza, da uomo del Sud, per risollevare un Mezzogiorno troppo spesso illuso da partiti e classi dirigenti interessati soltanto a conquistare voti?
«Il Mezzogiorno è spesso vittima della sua stessa narrazione divisa tra divari sociali e potenzialità territoriali. Ma non va trattato come un territorio “immaginario” staccato
dal contesto italiano. Il modello di rilancio deve vedere la partecipazione del governo nazionale e delle istituzioni europee. La strategia non può essere solo locale. Come
l'Italia, il futuro del Mezzogiorno passa da una strategia europea di rilancio e inevitabilmente dalla capacità futura di selezionare le nuove classi dirigenti.
La vera illusione è che questo non sia possibile».


(Intervista a cura di Antonio Ricchio - Gazzetta del Sud . 22 Luglio)

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