
Su Avvenire: I dazi e la risposta dell’Europa
L’obiettivo di Trump è chiaro, ma quale quello dell’Europa? L'intervento di Ernesto Maria Ruffini.
Da sempre, l'Europa è un progetto politico prima ancora che economico. Un progetto nato per superare egoismi nazionali, per guardare insieme oltre i confini verso un orizzonte comune. Proprio per questa ragione, il nuovo accordo sui dazi tra Europa e Stati Uniti ci offre l’occasione di riflettere su quale Europa vogliamo e di quale Europa abbiamo bisogno.
L’accordo tra Bruxelles e Washington sui dazi al 15%, infatti, ci pone davanti a un bivio. Da una parte, questo ha evitato (almeno per ora) che la situazione degenerasse ulteriormente, scongiurando la minaccia di Trump di aumentarli fino al 30%. Dall’altra, questo stesso accordo rischia adesso di cristallizzare una situazione che non può essere ritenuta positiva. Infatti, tenendo presente che a dicembre i dazi medi erano meno del 5%, siamo al paradosso di un risultato che triplica il peso dei dazi sulle esportazioni UE negli USA, ma che dovremmo vedere comunque di buon grado perché l’alternativa era di vederlo sestuplicato. Il tutto mentre i dazi per gli USA verso la EU rimangono inalterati e l’Europa si carica di altri impegni – acquisto di armi e di gas – che vanno in senso contrario alle strategie di indipedenza e transizione verde.
Donald Trump utilizza da sempre la leva dei dazi per raggiungere obiettivi precisi. Cerca di appesantire le esportazioni verso gli Stati Uniti, di cui comunque sa di non poter fare a meno, ottenendo – in ultima analisi da aziende e consumatori americani – maggiori entrate in grado di sollevare lo stato delle finanze americane appesantite dai tagli di tasse ai più ricchi. È una strategia legittima, anche se molto discutibile, che gli ha permesso finora di raccogliere ingenti somme da destinare alle esigenze del bilancio federale statunitense, anche a scapito delle prospettive di crescita USA, che sono peggiorate.
La tattica del presidente americano è ormai chiara: minacciare politiche irragionevoli, usare un linguaggio incendiario, per poi incassare quel che voleva. In questo modo, Trump sta sostituendo il vecchio ordine globale di cui l’America era baricentro, con un nuovo contesto in cui l’America è l’attore più grande (in concorrenza con la Cina) di un ordine globale basato sulla forza.
Ma di fronte a questa aggressività, l’Europa non può limitarsi a difendersi. Anche perché dopo la resa sulla Global Minimum Tax e la parziale resa sui dazi, ci saranno certamene altri passi portati avanti con la clava in mano: che ne sarà della protezione dei prodotti agroalimentari? O della vera ricchezza del futuro rappresentata dai nostri dati personali diffusi in rete e dal loro utilizzo? O, ancora, al futuro dell’intelligenza artificiale? Proprio per evitare questo lento e inesorabile slittamento verso un mondo con regole sempre più flebili e scritte dal più forte serve invece una visione propositiva che non solo risponda, ma che chiarisca cosa vogliamo davvero per il nostro futuro. Qual è, dunque, l'obiettivo dell'Europa? E quale il ruolo dell’Italia nell’Europa?
Dovremmo invece rafforzare i nostri valori, rendere la nostra società più capace di includere tutti nei processi democratici. In una parola: più uguaglianza, a vantaggio di tutti. Perché senza uguaglianza perdiamo talenti, perdiamo opportunità, siamo tutti più poveri. L’uguaglianza è il nostro biglietto da visita davanti al mondo. E rappresenta quella stessa cifra che dovrebbe regolare anche le relazioni internazionali, che non dovrebbe permettere a un Paese di considerare gli altri come semplici pedine, comportandosi con arroganza e prepotenza.
Ma una maggiore uguaglianza non può essere realizzata senza il coraggio di uno sviluppo economico, di una crescita economica che ci rende capaci di sostenere e rafforzare il nostro welfare: sanità, scuola, casa e tutto quello che fino a oggi ha caratterizzato il nostro modello di società. Per realizzare tutto questo serve un grande progetto europeo di politica industriale, rafforzare il mercato comune e completare finalmente il mercato unico dei capitali rendendo più facile per le imprese ottenere finanziamenti. Il rapporto Draghi e il rapporto Letta che hanno approfondito questi temi e indicato strade concrete per rafforzare la nostra Unione, dovrebbero essere centrali nell'orientare le decisioni. Il problema, in Europa come in Italia, è l'assenza di una leadership in grado di rispondere alle necessità delle persone.
Non dimentichiamoci infatti che dietro numeri e dazi si cela la vita reale di milioni di lavoratori, famiglie e imprese. Non è dunque una semplice questione economica, ma profondamente politica, che riguarda il nostro modo di vivere insieme, il futuro dei nostri figli e la stabilità delle nostre comunità.
Così, l’accordo sui dazi con gli Stati Uniti non può e non deve essere l’ultimo atto di questa vicenda in attesa che nuovi eventi o attacchi esterni tornino ad alzare la nostra attenzione. Piuttosto, dovrebbe rappresentare un’opportunità per rilanciare il progetto europeo, rafforzando i meccanismi decisionali e recuperando quella unità necessaria per far valere la nostra voce con forza. Anche perché sarebbe grave dimenticare l’importanza delle imprese esportatrici che hanno prodotto ricchezza anche per garantire il nostro welfare.
Ma anche su questo tema la voce del nostro paese appare particolarmente debole. Così come è debole su altri temi altrettanto centrali per il nostro futuro, come quelli che hanno visto l’Italia esclusa dalle recenti triangolazioni attorno al tema della difesa tra Merz, Macron e Starmer.
Si sta affacciando una nuova locomotiva europea formata da pochi paesi che stanno assumendo un forte protagonismo: Germania, Francia, Polonia e, extra Ue, Inghilterra. Sta arrivando una nuova Europa, guidata dai paesi più grandi e soprattutto dal consenso crescente dei cittadini che reagiscono istintivamente alla prepotenza di Trump. Anche in paesi più piccoli e tradizionalmente euroscettici.
Ma se si allarga la distanza tra il dinamismo di alcuni e la nostra inerzia finiremo in un guado dal quale non solo sarà difficile uscire, ma dal quale sarà impossibile esercitare alcuna influenza. Solo essendo davvero protagonisti in Europa eviteremo che decisioni importanti per il nostro futuro vengano prese altrove. Solo così possiamo costruire una Italia e un’Europa capace di garantire benessere, pace e progresso a tutti i suoi cittadini.